venerdì 5 marzo 2010

Il capitano Ultimo racconta 'La paura sul volto di Riina'

«Non ci sono ma è come se ci fossi». La voce del capitano "Ultimo" risuona al Palauditore subito prima che Gigi D' Alessio concluda la serata con la sua "Non mollare mai". All' uomo che il 15 gennaio di diciassette anni fa stese una coperta sulla testa di Totò Riina, mettendo così fine alla lunghissima latitanza del capo di Cosa nostra, hanno ridato la scorta, sconsigliandogli però di tornare a Palermo. Una cattura storica. Ma di quel giorno indimenticabile Sergio De Caprio, il capo di quella squadra di "cacciatori" che mise le manette ai polsi di Riina e che venerdì scorso si è ritrovata a Palermo per una serata di beneficenza per inaugurare la casa famiglia fondata dall' Associazione volontari capitano Ultimo, ricorda soprattutto una cosa, la paura di Totò Riina. «È la cosa che più mi ha colpito, non aveva capito che eravamo carabinieri, che lo stavamo arrestando. Aveva paura di essere ucciso. Aveva gli occhi della paura, aveva terrore di morire. Mi ha sorpreso, per certi versi anche deluso». "Sbirulino" fu il nome in codice di Totò Riina nell' operazione che alle nove del mattino del 15 gennaio del ' 93, alla rotonda di via Leonardo da Vinci, portò alla cattura del boss appena uscito dalla villa di via Bernini dove abitava da tempo con tutta la famiglia. Quegli attimi indimenticabili, De Caprio li racconta così: «Non eravamo affatto convinti di prendere Riina, per noi, per la mia squadra quel giorno era un giorno di normale operatività, eravamo attenti e concentrati come sempre, senza alcuna particolare enfasi. Non c' era assolutamente certezza di niente, non sapevamo cosa sarebbe accaduto. Fino a quando "Ombra", il mio uomo nella "balena" (il furgoncino posteggiato davanti alla villa di via Bernini) insieme a Balduccio Di Maggio non ci segnala che Biondino stava entrando in auto nel comprensorio di via Bernini. Di quell' uomo, che per altro chiamavamo con il nome sbagliato Biondolillo, sapevamo che era uno dei contatti di Riina. Poi, ricordo benissimo le parole di "Ombra": "Attenzione, c' è anche Sbirulino". Avevamo scelto quel nome nel caso in cui le nostre conversazioni fossero intercettate da qualcuno. Pochi secondi, abbiamo agito con lucidità, abbiamo localizzato, agganciato, seguito la macchina nel traffico della rotonda di via Leonardo da Vinci. C' erano i vigili nel gabbiotto, una pattuglia della polizia più avanti, gli abbiamo messo una macchina davanti e una dietro, più una macchina di copertura, abbiamo aspettato che il semaforo diventasse rosso e siamo entrati in azione: due da uno sportello, due dall' altro ed era finita». Di bocconi amari, in questi 17 anni, De Caprio ne ha ingoiato più d' uno ma «quello che mi resta - dice - è una grande sensazione di vuoto e un senso di amore irrazionale per quelli che vivono in questi quartieri di Palermo che io amo come amo tutta la Sicilia e i siciliani».
La squadra di quel gennaio ' 93 si è sfaldata ma è rimasta unita nell' azione per la legalità. Per questo, venerdì sera, insieme all' allora vicecomandante del Ros Mario Mori, Arciere, Vichingo, Omar, Oscar, Pirata, Nello, Barbaro, Aspide, Ombra hanno voluto essere presenti a quella festa della legalità. Con l' intervento al telefono del capitano "Ultimo": «Cosa nostra deve essere combattuta militarmente e monitorata nel suo substrato sociale. Per questo serate così sono importanti, fare solidarietà è fare legalità». Si ritiene, comunque, un uomo «privilegiato». «Ho conosciuto Falcone e Borsellino - dice - ma anche tanti marescialli umili che mi hanno insegnato molto e che hanno lavorato per la gente e tutto questo mi ha dato la forza di andare avanti nei momenti più difficili».
Tratto da un articolo di A. Ziniti

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